Il Necronomicon, Il libro dei Morti

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Perfettini
view post Posted on 13/2/2005, 19:24 by: Perfettini




necronomicon
“Il Libro dei Morti”



Ia mayyitan ma qadirun yatabaqa sarmadi
fa itha yaji ash-shutahath al-mautu qad yantahi.


Non è morto ciò che in eterno può attendere
e col volgere di strani eoni, anche la morte può morire.


Nota introduttiva: sebbene H.P. Lovecraft abbia più volte assicurato che il Necronomicon, ed il suo folle autore, erano solamente il frutto della sua immaginazione, ancora oggi molte persone credono che entrambi siano realmente esistiti. Non è scopo di questo scritto valutare se si tratti di realtà o finzione, ognuno è libero di credere ciò che vuole. Il mio intento è quello di fornire, ai tanti appassionati di giochi di ruolo, un argomento affascinante da utilizzare per creare avventure o caratterizzare personaggi.
A prescindere dal motivo che vi spinge a consultare questo documento scoraggio vivamente la pratica dei rituali in esso contenuti, non garantisco che siano corretti e completi, in ogni caso non sono responsabile degli eventuali esiti nel caso decidiate di attuarli.

Crediti e Copyright: non ho idea se il materiale qui trattato sia coperto da qualche forma di copyright, avendo trovato le mie fonti su Internet suppongo di no, in ogni caso quest’opera è distribuita senza scopi di lucro. Siete liberi di usarla, modificarla e distribuirla a piacimento, a patto che non diventi fonte di guadagno (compreso il baratto) e che le informazioni presenti sulla prima pagina non vengano eliminate o modificate.

Lo “scherzo” di Lovecraft

Segue la versione originale (tradotta) dell’editoriale scritto da Lovecraft. Doveva trattarsi, a detta dello stesso autore, di una “burla tra amici”, in realtà lo scritto ebbe un notevole successo ed un’ampia diffusione, tanto che con il passare del tempo numerosi scrittori ed appassionati di fantasy contribuirono a trasformare l’invenzione in leggenda.

Storia del Necronomicon

Il titolo originale dell'opera è Al Azif: "Azif" è l'allocuzione usata dagli arabi per indicare gli strani suoni notturni (dovuti agli insetti) che si supponevano essere l'ululato dei dèmoni.
L'autore è Abdul Alhazred, un poeta folle di Sanaa, capitale dello Yemen, che si dice sia vissuto nel periodo dei Califfi Ommiadi, nell'ottavo secolo dopo Cristo. Fece molti misteriosi pellegrinaggi fra le rovine di Babilonia e le catacombe segrete di Memphis, e trascorse dieci anni in completa solitudine nel grande deserto dell'Arabia meridionale, il Raba El Khaliyeh, o "Spazio vuoto" degli arabi antichi, e Dahna, o "Deserto cremisi" dei moderni, ritenuto dimora di spiriti maligni e mostri mortiferi. Di questo deserto coloro che pretendono di averlo attraversato, narrano molte storie strane ed incredibili meraviglie.
Nei suoi ultimi anni di vita Alhazred abitò a Damasco, dove venne scritto Al Azif, e del suo trapasso o scomparsa (nel 738 d.C.) si raccontano molti particolari terribili e contraddittori. Riferisce Ibn Khallikan (un biografo del dodicesimo secolo), che venne afferrato in pieno giorno da un mostro invisibile e divorato in maniera agghiacciante di fronte ad un gran numero di testimoni gelati dal terrore.
Anche la sua follia è oggetto di molti racconti. Egli affermava di aver visitato la favolosa Irem, la Città dalle Mille Colonne, e di aver trovato fra le rovine di un innominabile villaggio desertico le straordinarie cronache ed i segreti di una razza più antica dell'umanità. Non seguiva la religione musulmana, ma adorava delle Entità sconosciute che si chiamavano Yog e Cthulhu.
Intorno all'anno 950, l'Al Azif, che era stato diffuso largamente, anche se in segreto, tra i filosofi dell'epoca, venne clandestinamente tradotto in greco dall'erudito bizantino Teodoro Fileta, col titolo Necronomicon, cioè, letteralmente: "Libro delle leggi che governano i morti".
Per un secolo favorì innominabili esperienze, finché non venne soppresso e bruciato intorno al 1050 dal vescovo Michele, patriarca di Costantinopoli. Dopo di ciò il suo nome fu solo furtivamente sussurrato ma, nel tardo Medioevo (1228), il danese Olaus Wormius ne fece una traduzione latina, basata sulla versione greca di Fileta, che vide la stampa due volte: una alla fine del quindicesimo secolo, in caratteri gotici (evidentemente in Germania), e una nel diciassettesimo (probabilmente in Spagna).
Entrambe le edizioni sono prive di qualsiasi segno di identificazione, e possono essere localizzate nel tempo e nello spazio solo in base a considerazioni riguardanti il tipo di stampa.
L'opera, sia in latino che in greco, venne posta nell'Index Expurgatorius sin dal 1232 da papa Gregorio IX, cui era stata mostrata la traduzione di Wormius. A quell'epoca l'originale arabo era già andato perduto, come mostra la prefazione alla prima versione latina (vi è tuttavia un vago indizio secondo cui una copia segreta sarebbe apparsa a San Francisco in questo secolo, e sarebbe andata distrutta nel famoso incendio del 1906).
Nessuna notizia si ebbe più della versione greca - che fu stampata in Italia fra il 1560 e il 1570 - fino al resoconto del rogo cui fu condannato nel 1692 un cittadino di Salem con la sua biblioteca. Una traduzione in inglese fu fatta dal dottor John Dee intorno al 1580, non venne mai stampata, ed esiste solo in alcuni frammenti ricavati dal manoscritto originale.
Delle versioni latine attualmente esistenti, una (del quindicesimo secolo) è custodita nel British Museum, mentre un'altra (del diciassettesimo secolo) si trova nella Bibliothèque Nationale a Parigi. Altre edizioni del diciassettesimo secolo sono nella Widener Library ad Harvard, nella biblioteca della Miskatonic University ad Arkham e presso l'università di Buenos Aires. Comunque esistono certamente numerose altre copie presso dei privati, ed in proposito circola con insistenza la voce che un esemplare del testo in caratteri gotici del quindicesimo secolo faccia parte della collezione privata di un celebre miliardario americano.
Sembra anche che presso la famiglia Pickman di Boston sia presente una copia del testo greco stampato in Italia nel sedicesimo secolo: se è vero, questa è comunque certamente svanita insieme col pittore R. U. Pickman, di cui si sono perse le tracce dal 1926.
Il libro è posto all'indice da tutte le religioni del mondo. La sua lettura determina conseguenze terribili. Si dice che sia appunto da vaghe notizie su quest'opera (della cui esistenza una ben piccola parte della gente è al corrente), che lo scrittore R. W. Chambers abbia tratto lo spunto per il suo celebre romanzo The King in Yellow, il cui filo conduttore è un libro iniziatico la cui lettura provoca la follia.


I sette libri

Sette sono i libri che compongono il Necronomicon; non si tratta di singoli libri separati, il tomo è uno solo, li si potrebbero intendere come sezioni che vanno a comporre un singolo volume. Essi sono:

1.Libro dei Nomi Perduti:
Questo libro racconta il viaggio intrapreso dall’autore e di come gli sono stati rivelati gli arcani segreti contenuti nei libri seguenti.
2.Libro degli Antichi:
Chi sono gli Antichi, da dove provengono, dove dimorano e come richiamarli.
3.Libro dei Luoghi:
Questo libro parla di determinati luoghi terreni ed ultraterreni, posti reali ed altri leggendari, dove sono e come raggiungerli.
4.Libro delle Evocazioni:
Quali rituali usare e quali Cancelli aprire per evocare gli Antichi ed altre “presenze”.
5.Libro dei Materiali:
Attrezzature, materiali e protezioni che l’evocatore dovrà utilizzare.
6.Libro dei Segni:
[/I]Simboli, segni e linguaggi da conoscere per eseguire l’evocazione.
7.Libro dei Rituali:
Cerimonie e rituali da eseguire per conoscere gli eventi passati e futuri ed i segreti dell’Arte Evocativa.[I]

E ci fermiamo qui signori alla prossima con il 1° libro

Da questo punto in poi la forma narrativa passa in prima persona, ovvero come se fosse stato lo stesso Abdul a scrivere. In alcuni punti può risultare farneticante e confuso, ma in fin dei conti si tratta sempre della traduzione del diario di un poeta pazzo.

Edited by Perfettini - 21/2/2005, 19:36
 
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